L’isola d’Ischia è al centro di numerosi racconti della mitologia greca. Tra questi, probabilmente il più importante, è lo sbarco di Ulisse sul lido di Scheria, l’isola dei Feaci. Il racconto del soggiorno su quest’isola occupa un posto fondamentale nell’architettura dell’Odissea che, per buona parte, narra delle dodici tappe (in greco nostos) precedenti l’agognato ritorno a Itaca dell'eroe omerico.
Il soggiorno presso Alcinoo, re dei Feaci e padre di Nausicaa, la donna che introduce Ulisse a corte, è importante perchè fu proprio grazie ai Feaci, o Fenici, che il marito di Penelope (e padre di Telemaco) poté far ritorno in patria, sfuggendo alla collera di Poseidone (Nettuno), dio del mare, deciso a vendicare suo figlio Polifemo, accecato dall’eroe sull’isola dei Ciclopi.
Ebbene la leggenda narra che la galea messa a disposizione da Alcinoo, con la quale Ulisse finalmente tornò a casa, fu pietrificata da Poseidone poco prima di rientrare in rada, di ritorno dall’impresa. Da qui scaturirebbe il topos pietra della Nave con cui viene, da sempre, identificato quello scoglio che emerge maestoso dal mare poco lontano dalla baia di Citara (Forio) e ad appena 80 mt dalla costa a strapiombo del promontorio di Punta Imperatore.
Al di là del racconto mitico, è stato lo storico francese Philippe Champault, nel suo saggio “Phéniciens et Grecs d’après l’Odyssée - Étude géographique, historique et sociale par une méthode nouvelle” (Parigi 1906) a sostenere con forza che l’isola dei Feaci fosse in realtà Ischia, in polemica con le versioni dominanti dell’epoca che, o ritenevano che i Feaci fossero un’invenzione letteraria di Omero, oppure, come l’altro storico francese Vittorio Bérard, che l’isola in questione fosse Corfù, in Grecia.
Di più, Champault sostenne che sull’isola d’Ischia (il cui nome altro non sarebbe che un addolcimento linguistico dell’originario Scheria) Fenici, Calcidiesi ed Eretriesi dovettero per qualche tempo addirittura convivere e cooperare, prima che l’instabilità sismica e vulcanica del territorio convincesse, prima gli uni e poi gli altri, a stabilirsi altrove.