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Ischia e le isole Eolie: la storia dei fratelli Sanfilippo, solfatori d'uva

Storia di un'ingiustizia durata quasi 150 anni.

Cosa accomuna Ischia, la più grande delle isole flegree alle isole Eolie?  Certamente il turismo, con numeri importanti sia per quel che riguarda i visitatori annui che le cifre di tutto l’indotto. In secondo luogo la natura vulcanica presente in ogni paesaggio, che si tratti di spiagge o degli antichi abitati rurali. Poi le invasioni saracene, soprattutto quelle compiute attorno la metà del XVI secolo dal terribile corsaro ottomano, il rais Darghout. E ancora, il mare, la pesca, la viticoltura, per secoli principale fonte di sostentamento per gli ischitani e gli abitanti dell’arcipelago delle Eolie.

Più di tutto, però, li accomuna una storia. Quella dei fratelli Sanfilippo, - Gaetano, Giuseppe e Antonio da Salina -, e la fondamentale scoperta dello zolfo nella cura e la prevenzione delle malattie e dei parassiti della vite. In particolare l'oidio e la filossera, quest'ultima un afide in grado di distruggere i vitigni partendo dall’apparato fogliare per arrivare in breve tempo alle radici.



Una storia di ingegno, quello dei tre liparioti; e di ingratitudine, da parte degl’ “ischioti”. come li (ci) chiama lo storico Giuseppe D’Ascia, cui conviene affidarsi per il racconto che fa ne “La Storia dell’isola d’Ischia” della disgraziata permanenza sull’isola verde dei fratelli Sanfilippo.

"Era verso gli ultimi mesi del 1855 quando apparivano tre popolani dell’isola di Lipari in Sicilia fra le ammiserite e squallide popolazioni dell’isola d’Ischia.
Essi si avvicinavano ad un bettoliere del Comune di Forio e timidamente annunziavano che, conoscevano lo specifico per salvare le uve dalla crittogama; specifico che avrebbero posto a profitto degl’Ischioti, se avessero prestato fede alle loro promesse; mentre eglino avrebbero impiegato i capitali per lo specifico e per la mano d’opera, e i possidenti posto la vigna, divenuta improduttiva. Il prodotto salvato si sarebbe diviso a parte uguali, e per metà
”. 
[...] "Venne il tempo dell’ansia, e della speme, poiché i racemi solforati rimanevano intatti; si aspettò la maturità, e questa pur venne: l’uva solforata fu salva, contro l’impossibilità giudicata dai dotti e l’incredulità manifestata dal volgo.
Gaetano, Giuseppe ed Antonio Sanfilippo faccendieri di Lipari furono i tre Salvatori che ravvivavano un fetido ed appassito Lazzaro quatriduano: sollevarono l’isola d’Ischia dalla più squallida delle miserie e l’arricchivano del Serto pampinoso de’ suoi biondi grappoli da cui stillavano un’altra volta....d’Ischia il nobil greco del Redi, il rinomato latino del Jasolino, il ricercato vino d’Ischia delle piazze d’Italia - I Sanfilippo furono i benemeriti del paese.
E pure gl’ischioti furono ingrati con costoro!
Alcuni negarono loro anche la pattuita somma; ed eglino dovettero litigare per ottenerla.
Si spesero centinaia per feste religiose, spari, processioni, luminarie, ed ai tre fratelli Sanfilippo che o istrumenti accessori, o principali, come si avessero voluti ritenere dal volgo de’ vignaiuoli, e da proprietari, avevano adoperato il miracolo? – Nulla!
Essi partirono dall’isola d’Ischia più poveri di quello che erano venuti, e per soprappiù carichi di debiti contratti per lo acquisto del solfo. Ciò che fu più tremendo! N’erano venuti tre, e ne partirono due!
Il fratello Giuseppe, moriva di crepacuore nel Comune d’Ischia, poiché tutto si supporta su questa terra fuorché l’ingratitudine. L’isola d’Ischia si macchiò di questa colpa, e la storia, nascondere non l’ha potuto; ma alleggerirla bensì, col non dettagliare i fatti e sopprimere più vergognose scene
”.
Una storia triste e ingiusta, di cui D’Ascia non si fa certo scrupolo nell’ammettere di aver omesso il dettaglio di molti fatti e vergognose scene. Una storia di cui resta una piccola edicola votiva nel comune di Ischia all'inizio di Via Nuova dei Conti, zona residenziale nota come la Madonnella (in dialetto 'a Marunnella). Fu eretta da alcuni ischitani "in divozione di Gaetano Sanfilippo, solfatore d'uva" e in onore alla Madonna del Terzito, il cui santuario si trova nel paesino di Leni, uno dei tre comuni in cui è amministrativamente divisa Salina (le restanti 6 isole dell’arcipelago delle Eolie fanno parte del comune di Lipari, compresa l’isola omonima).



C'è stato chi, nel commentare la triste vicenda dei fratelli Sanfilippo ha suggerito il paragone forte con le vicende dell’agrimensore K., narrate nel capolavoro di Franz Kafka, Il Castello (Das Schloß). Kafka fa dire alla padrona di casa dello "sventurato" K.:
“Lei non è del Castello, lei non è del paese, lei non è nulla. Eppure anche lei è qualcosa, sventuratamente, è un forestiero, uno che è sempre di troppo e sempre fra i piedi”.
Quale che sia la "morale" della storia dei tre fratelli liparioti, una cosa è certa. L’amministrazione comunale di Ischia ha inteso riparare ufficialmente al torto subito dai tre solforatori, promuovendo il gemellaggio con il comune di Leni, alla presenza anche del primo cittadino di Lipari. Per l’occasione l’edicola votiva di Via Nuova dei Conti è stata oggetto di restauro. Chissà che il gemellaggio, oltre al risarcimento simbolico, non porti con sè anche la consapevolezza di un nuovo modo di fare turismo, riscoprendo gli aspetti comuni e segreti delle isole del Mediterraneo del Sud: dall’agricoltura, ai culti mariani, come appunto quello della Madonna del Terzito.

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