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La famiglia fortunata di Casamicciola

Una leggenda ischitana tratta dai Racconti di spiriti di Jørgen Vilhelm Bergsøe.

La capacità di coinvolgere, far immedesimare il lettore con il racconto è ciò da cui convenzionalmente si "misura" la bravura di uno scrittore. La prosa leggera e trascinante con cui lo scrittore danese Jørgen Vilhelm Bergsøe riesce a vivificare le immagini dell’isola d’Ischia del XIX secolo merita perciò senz’altro una notazione.

L’abbiamo già visto con il racconto de "La Pietra Cantante" di Casamicciola. Rileggere quella novella dà la sensazione (particolare che ha dell’incredibile a quasi 150 anni di distanza) che vi sia ancora qualcosa da scoprire su un’isola di cui all’apparenza si sa tutto come Ischia.

E invece, non solo c’è sempre qualcosa da scoprire, ma leggere "La famiglia fortunata", l’altro racconto che l’entomologo, poeta e scrittore danese amico di Ibsen dedica all’isola d’Ischia aumenta semmai quest’impressione. La storia, - ambientata a Casamicciola come La Pietra Cantante - fa parte della serie "Racconti di Spiriti" (1871) e racconta di una famiglia di contadini, della loro passione travolgente per la tarantella e dell’intercessione benevola di un "monacello", spirito domestico assai diffuso nelle leggende di tradizione orale napoletana che, quando non "appezzentisce" (let. "manda in miseria"), "arricchisce".


In questo caso, l’influsso dello spirito è benevolo, determina la fortuna di Felicetto, Restituta e i loro tre figli, Annina, Giovannina e FIlippo; ma come Bergsøe ha più volte modo di sottolineare, la fortuna di cui parla ha poco o nulla a che fare con l’agio e le ricchezze materiali. Piuttosto, è uno "stato di grazia" cui concorrono la naturale ospitalità, la particolare luce di Ischia e la generosità della terra:


"Una caratteristica degli Italiani è che i forestieri possono chiedere loro quasi tutto il possibile. Per natura contenti e ben disposti, cortesi più per impulso che per educazione, abituati ai desideri e agli umori del viaggiatore, lo trattano in qualche modo come un bambino viziato al quale bisogna concedere tutto".


Più avanti nel racconto
:


"Giù nella valle vi si definisce la famiglia felice; ma vi si dovrebbe chiamare la famiglia fortunata. Mai avevo visto tanta fortuna tutta insieme in un pezzo di terra così piccolo”.


La stessa intercessione del "munaciello"
, che consente a Felice e alla moglie di risolvere le proprie angosce - quelle ancora tremendamente attuali di una giovane coppia che non può contare sugli aiuti materiali dei parenti - chiarisce l’orizzonte domestico della felicità che passa per la dedizione della viticoltura ischitana, i pomodori, il blu del mare e magari un pasto all’aperto riparati dalla chioma di un albero di noce.

Così, Bergsøe fa dire al suo mentore Felicetto:


"Sì signore. (...) Ci chiamano la famiglia felice ma la felicità deriva dal fatto che siamo fortunati. Non ho forse tutto quello che potevo desiderare? Una casa mia, che mi sono costruito da solo, una buona moglie che non litiga mai, e figli fortunati che dopo di noi erediteranno la fortuna".


Se di questa felicità e fortuna ne volete un po'
, non vi resta allora che venire a Ischia. Gli ischitani, "per natura contenti e ben disposti" saranno contenti di "trattarvi come un bambino viziato al quale bisogna concedere tutto" (cit.).

E chissà che non vi imbattiate in qualche "presenza" con un carico d’oro per Voi, proprio come è capitato a Felicetto e alla sua famiglia!

(Vilhelm Bergsøe, La famiglia fortunata, Imagaenaria Edizioni Ischia, 2013. Traduzione Laura Mattera Iacono).

 

 

 

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